“Stai lì e non muoverti. Allarga bene le gambe, di più, ancora di più, così. Mani dietro la nuca, gomiti aperti, su la testa. Sei stata cattiva stasera, hai civettato, hai guardato gli altri e ti sei lasciata guardare, lo sai cosa ti aspetta. Non rispondere, non parlare, non era una domanda. Non voltarti, tu non mi puoi vedere ma te lo dico io, ho messo quel giaccone di pelle che ti piace tanto, tutto borchie e chiusure lampo, ma l’ho lasciato aperto, e nient’altro; te ne accorgerai quando ti abbraccerò, alla fine. Ho anche gli stiletti, potrai leccarli, alla fine, se sarai stata brava e disciplinata. Ferma e zitta, non puoi muoverti e non puoi parlare, sto pensando a come punirti per quello che hai fatto. La cinghia di cuoio, magari, o forse la canna di bambù, o meglio ancora il frustino, adoro i segni che ti lascia sul culetto. Dieci frustate, allora, non una di meno, il doppio del solito, perché sei recidiva. Sei troppo bella, dovresti essere più modesta, quella gonna corta, quella camicetta trasparente, lo sai che devi indossarle solo per me. Zitta e ferma, senti la punta del frustino sul filo della schiena? Questa è una carezza, ma tra poco proverai ben altro. Sei pronta? Non rispondere, ancora non puoi parlare, lo decido io, lo sento che lo sei, sei tesa e stai tremando, e sento il profumo del tuo corpo. Stasera non potrai lavarti, voglio che fino a domani mattina ti tenga addosso il sudore e la paura. Ferma e zitta, per l’ultima volta. Solo quando avrò finito avrai il permesso di parlare, lo sai, mi dirai che mi ami e che ti piace, come piace a me, adesso, a me e a te, amore mio”.
“Che bello, tu che vivi a Roma”.
Quante volte me l’hanno detto, e lo hanno detto anche a lei, anzi a lei prima di me sicuramente, gli amici ed i conoscenti del paesino lucano. Salvo meravigliarsi quando spieghiamo loro che posso fare anche venti o trenta chilometri senza uscire dalla città, nel traffico e nel caos, e adesso guardiamo con terrore al natale che si avvicina, con l’ulteriore aumento di caos e traffico, che devo affrontare ormai da sola.
Tutto questo per dire che ho finalmente preso la patente per la moto, accidenti, e quindi potrei dire basta alle ore di viaggio sui mezzi pubblici, alle palpate tra la folla, alla paura di immergermi nelle viscere della Stazione Termini quando devo cambiare linea, magari è tardi, c’è poca gente in giro e da ogni angolo buio potrebbe saltare un malintenzionato.
Però ci sono dei lati positivi: per esempio ho il tempo di leggere qualcosa, e mi sono specializzata nell’incastrarmi in un angolo prima di immergermi nel libro che ho scelto per tenermi compagnia, in genere uno della sua libreria, roba che qualche volta aveva comprato suo padre, e di cui magari avevo sentito parlare e non avevo mai letto.
E poi non mi sento ancora abbastanza sicura di dominare la sua moto. Tanto che lei mi ha detto che magari per natale stava pensando di regalarmi uno scooter, più leggero e maneggevole, ma poi si è detta che non era il caso, ed è giusto e vero, perché quello che fa lei posso farlo anche io, ho soltanto bisogno di fare un altro po’ di pratica.
Come se non ne avessimo abbastanza di aver a che fare l’uno con l’altro, una volta alla settimana i colleghi protraggono l’orario di lavoro di un altro paio d’ore, trasferendosi in blocco nel bar in fondo alla piazza.
La scusa è l’aperitivo, la vera ragione è esorcizzare il fine settimana incombente raccontando una quantità di balle, tipo un invito per la caccia alla pernice da un nobile scozzese o per una festa in un castello della Loira; anche per questo non amo partecipare. Ogni tanto però accetto, mi seggo con loro e li lascio parlare; in fondo, anche se si tratta di tempo sottratto alla mia vita con lei, è abbastanza divertente assistere alle dinamiche di un gruppo così malamente assortito: i nerd della produzione, gli imbonitori del commerciale, i pignoli dell’amministrazione, la stagista della reception che ancora non ha deciso se questo posto le piace. E poi ci sono io, che non so bene cosa sono.
Allora, è arrivato un po’ di freddo, anche se qui a Roma il freddo è un’opinione, ed il nostro armadio è diventato un confuso miscuglio di gonne di cotone e tailleur pantalone in lana.
O meglio, per dire la verità, solo la mia parte dell’armadio; lei è riuscita in qualche modo ad organizzarsi, e non solo perché ha più tempo per farlo, è proprio perché è fatta così.
“Guarda”, mi ha spiegato, “non c’è bisogno di fare il cambio di stagione tutto assieme, basta essere ordinate. Prendo un abito invernale dal piano di sopra e metto al suo posto un abito estivo, non ci vuole niente”.
La Regina ed il suo mago restarono in silenzio per un po’, poi la Regina fece un gesto impaziente.
Il mago cercò di spiegare:
“Maestà, Loreen è stata colpita da questa ragazza, ha lasciato un cliente per andarle incontro quando è entrata nel salone. Loreen ha un piccolo potere adatto ad una puttana, sente il desiderio ed è immediatamente attratta dal desiderio più forte. Lei”, aggiunse riferendosi a Lunga Treccia, “ha questo potere, molto grande, ma grezzo, non educato, che ha ingannato Loreen che non la ha riconosciuta per una donna”.
“Da quando una puttana fa preferenze sulla clientela? E’ una usanza di questo buco fetido, forse”?
“Maestà, io sono entrato due giorni fa nel bordello, non giocavo al gioco del piacere da una settimana e desideravo follemente farlo, ma Loreen non mi ha degnato di uno sguardo, perché io volevo i miei uomini che avevano viaggiato con un altro…
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Scusate l’intromissione, ma visto che è finito il primo capitolo mi è venuta voglia di dire due parole.
La prima: da adesso in avanti conosceremo molto meglio – oserei dire intimamente – i nostri eroi.
La seconda: ho cominciato a leggere la Trilogia dell’Anello, visto che se non lo hai fatto sembra che non puoi decentemente occuparti di fantasy, e mi piace, accidenti. Addirittura, mi sembra di trovare citazioni classiche, insomma devo ancora decidere (attenzione, spoiler 😉 ) se la Compagnia dell’Anello è partita per una Ricerca del Graal all’incontrario o se magari si può parlare di una strana Anabasi.
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Secondo me su questo lay out le foto stanno malissimo, ma voglio fare un’eccezione e ne pubblico una, come pubblico la didascalia di un quotidiano mainstream.
Ne abbiamo ancora di strada da fare, in questo disgraziato Paese.
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