(Qui la parte precedente)
Mi alzo dopo aver chiesto permesso e faccio svolazzare la gonnellina corta, a beneficio di lei, come a beneficio di lei accentuo un po’ il movimento dei fianchi: sono sicura che lei, stasera, mi punirà per questa piccola esibizione; io chiederò perdono e spiegherò che l’ho fatto per ammorbidire le interlocutrici, un po’ come facevo ai primi tempi del mio lavoro, quando portavo il caffè alle riunioni importanti e mi mettevo in mostra davanti ai clienti per distrarli e facilitare le trattative. Mentre aspetto che il caffè sia pronto nella vecchia moka da quattro tazze dei genitori di lei, oggetto di design se mai ce ne è stato uno, tipico degli anni ’80, pregusto le frustate sulle tette o, meglio ancora, sulla piante dei piedini e quasi rovino la mia opera distraendomi ed infilando una mano sotto le mutandine che sì, cominciano ad essere umide, anzi proprio bagnate. Spengo il fuoco appena in tempo, prima che il caffè prenda a bollire e si rovini definitivamente, e meno male, una punizione per una stupidaggine del genere proprio non la vorrei.
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