L’ometto in palandrana, che continua ad ingurgitare quantità incredibili di cibo, apre un altro fronte e devia l’attenzione dei Dom da me. Insomma, brevissima discussione e siamo tutti d’accordo, ai sub bisogna imporre con una certa frequenza tutte le pratiche che a loro piacciono meno: per mantenere la disciplina, ci racconta soddisfatto, non bastano le frustate e lui ottiene ottimi risultati con gli spilloni, ne avremo una dimostrazione, promette, prima di rimettersi a mangiare a quattro palmenti. Il biondo lo guarda con un certo disgusto prima di confessare che il suo sub è un masochista puro e non c’è pratica che non sopporti quasi con gioia; l’unica cosa di cui ha paura, incredibilmente, è di essere rinchiuso, quindi viene tenuto in un sottoscala minuscolo e buio almeno una notte a settimana, così che quando esce è ridotto ad uno straccio ed è il ritratto dell’obbedienza.
La quarantenne mi guarda incuriosita da qualcosa ma prima che possa aprire bocca viene cortesemente interrotta dal ritorno dei maggiordomi nazisti, che si schierano in fila davanti a noi e ci dedicano un inchino con commovente sincronismo. Contemporaneamente la musica in sottofondo sfuma, e le camerierine, lì dove si trovano, fanno un’aggraziata riverenza e spariscono quasi di corsa. Mi sto chiedendo cosa stava per dire la quarantenne e se il cinquantenne mi stia così vicino da sfiorarmi per caso o premeditazione, poi non ci penso più. Anche perché il portavoce dei nazisti, che poi è il concierge che ci ha accolte, ci ricorda che è il momento di portare il nostro saluto ai sub – o meglio di riceverne l’omaggio – prima di metterli a letto; se vogliamo, una cameriera porterà un carrello con qualcosa da mangiare, e facciamo tutti cenno di sì: nutrire i sub è nostro diritto, dovere e privilegio. Quindi, conclude, se le signore ed i signori vogliono seguirlo, li condurrà nelle segrete.
Il corridoio attraversa, mi sembra, tutta la lunghezza della villona e conduce ad una scala a chiocciola. Io mi sono trovata accanto al biondo palestrato col quale ho scambiato due parole e qualche banalità ed ho scoperto che questo Dom va a cercare i sub in posti abbastanza improbabili: quello che adesso aspetta da qualche parti qui sotto arriverebbe direttamente da un campo profughi in Libano, secondo lui, e tra sei mesi verrà sostituito. Insomma, il biondo fa anche del bene, si tratta di gente che fugge dalla fame, dalla dittatura, dalla miseria, cosa vuoi che sia qualche frustata. Nello scendere la scaletta il biondo mi cede educatamente il passo interrompendo la spiegazione, e meno male: mi stava dicendo che ha opzionato, dice proprio così, una dodicenne dagli occhi enormi ed attende solo che la ragazzina veda il suo primo sangue. Ho un brivido: quest’uomo deve essere malato, accidenti a lui, le bambine vanno lasciate crescere in pace. Già, in pace nel calderone del Vicino Oriente: magari starà meglio qui, questo Dom sembra esperto e capace e comunque penso che dovrò parlarne, non appena possibile, con lei, e magari ci faremo venire un’idea.
Già a metà delle scale si sente il freddo e l’umido del sotterraneo, simile a quello del nostro donjon nelle giornate di tardo autunno, con qualcosa di diverso. I miei tacchi, dopo l’ultimo gradino, affondano nel pavimento di terra battuta e c’è pochissima luce, lampadine fioche alle pareti in mattoni nudi, soffitto basso a volta: siamo in un locale ampio e palesemente inospitale e istintivamente ci stringiamo l’una all’altro, gli occhi fissi sul nazista che ci guida e poi, una volta adattata la vista alla penombra, sulla camerierina che chissà da dove è sbucata ma ci aspetta, col suo carrello, sotto una delle lampade a parete. Per quanto assurdo non sembra fuori posto, e nemmeno noi.
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