Con questo post, pubblicato per la prima volta il 3 febbraio 2015, comincia il racconto del viaggio della nostra amica Cristina e della sua lei – Stella – alla ricerca di un figlio. Leggendolo, e già sapendo quello che è accaduto dopo, la mia tristezza aumenta.
Mario Siniscalchi
Il batuffolo d’ovatta, poi l’ago acuminato nella morbida pelle all’interno del gomito a cercare la vena che scorre sottopelle, il sangue rosso, scuro, denso che riempie le fialette. Lo stiamo facendo assieme, ed ho la conferma che se c’è una cosa di cui lei ha paura sono proprio gli aghi.
Cerotto, altrimenti la manica della camicia bianca di cotone si potrebbe macchiare e sarebbe un peccato, un bacio ed un caffè: da pallida che era, lei riprende colore, tanto da raccontare ancora un pezzetto della sua vita prima che ci fossi io, quella vita di cui sono gelosa.
“Mi viene da papà, credo. Anche a lui facevano paura gli aghi, e considera che ai suoi tempi, quando era un bambino, molte medicine che adesso si prendono in pillole, erano somministrate sotto forma di iniezione”.
Non ci ho mai pensato. Io sono stata una bambina sanissima, ed a maggior ragione il mio lungo ricovero in ospedale prima, in clinica poi, aveva aggiunto angoscia al dolore ed alla vergogna dell’aggressione. Per fortuna, quando sono uscita dalla clinica ho trovato lei ad aspettarmi, a porgermi una mano, ad offrirmi una spalla su cui piangere ed un letto in cui riscaldarmi al suo tepore.
Devo essere impallidita io, al ricordo, ed è lei a baciare me ed a offrirmi mezzo cornetto.
“Papà diceva sempre che grazie a questa sua paura si era tenuto alla larga dall’eroina: quando era ragazzo era una specie di malattia sociale, quasi ogni mattina leggeva sul giornale il nome di un amico o di un conoscente trovato fulminato, con l’ago ancora in vena”.
E adesso, si parla tanto di cocaina e di droghe sintetiche, ma l’eroina credo che esista sempre, magari ci si muore di meno. Mi piacerebbe informarmi, chi lo sa.
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