La sentenza, il verdetto
di cristinadellamore
La nostra amica Cristina conosce i meccanismi della suspense, e lo dimostra con questo post, pubblicato per la prima volta il 23 maggio 2015.
Mario Siniscalchi
Il luminare, per qualche sua incomprensibile ragione, non ci riceve assieme. Lei passa per prima ed io ho tutto il tempo di attendere giocherellando nervosamente con la prima cosa che ho tra le mani, un rossetto trovato in fondo alla borsetta; non solo, lo studio deve avere due porte perché l’infermiera etiope o somala – nera, statuaria e con lineamenti bellissimi – compare all’improvviso e mi accompagna al cospetto del professore.
Per qualche ragione oggi ho rinunciato al mio tailleur ed ho indossato la camicetta di seta color avorio che a lei piace tanto ed i miei jeans portafortuna, entrando nei quali mi sono accorta di aver perso di nuovo qualche etto; meglio così, mi sono detta, avrò tutto il tempo di ingrassare nei prossimi mesi.
La venere nera mi guarda dall’alto in basso, e sì che io non ho fatto a meno dei miei fidi stiletti e lei porta dei sandali bianchi, poi mi aiuta a spogliarmi e ad assumere la corretta posizione su questa strana via di mezzo tra lettino e poltrona: le caviglie appoggiate nelle staffe, sono esposta in maniera che mi sembra oscena, e sì che non sono una che si scandalizza facilmente.
Oscena, davvero, perché il luminare non mi degna neanche di uno sguardo, con le dita unte e guantate penetra, fruga e controlla con gli occhi rivolti chissà a cosa, puntati verso un angolo della stanza. In compenso l’infermiera mi fissa, gli occhi neri nei miei, impassibile, ed io mi chiedo prima di dominare un sobbalzo ed un gemito – mi ha fatto male, ha spinto troppo – che razza di mestiere è il suo e poi, incongruamente, se trovi più bella me o lei, passata di qui poco fa.
Indolenzita e rivestita mi siedo con cautela davanti alla scrivania, sulla poltroncina della supplice, e sono pronta ad ascoltare la risposta definitiva; e invece non è vero, il professore si sistema un po’ meglio sulla sua poltrona ed io comincio a sudare, non so bene cosa aspettarmi ma improvvisamente ho paura. Paura di sapere, che sia sì o che sia no, ecco il punto.
Vorrei che lei fosse seduta qui accanto a me e mi tenesse per mano; poi mi rendo conto che lei ha passato la mia stessa trafila senza di me e me ne vergogno, ecco come ho rispettato l’impegno di amarla, aiutarla e starle sempre accanto quando ne ha bisogno.
Mi accorgo che il luminare sorride prima di cominciare a parlare e comincio addirittura a piangere; piangendo e sorridendo assieme ascolto, ringrazio e stringo la mano che mi viene porta, poi seguo l’infermiera come Euridice ha seguito Orfeo e ritrovo lei, in piedi in un’altra sala di attesa.
Sorride, va tutto bene, e non solo perché ci abbracciamo e la venere nera sorride per la prima volta.