Luci e città (o forse il contrario) – Ventitreesima parte

di cristinadellamore

(Qui la parte precedente)

“Amore, ti sei riposata?”, mi chiede lei che ha rispettato i miei pochi secondi di concentrazione. Certo, ma non è nemmeno questione di riposo. Vorrei tornare in albergo ma per fare l’amore, o anche andare ancora in giro, mano nella mano, e dire a le, ad ogni passo, che la amo e la desidero e che voglio passare il resto della mia vita con lei; insomma, qualsiasi cosa purché possa stare vicina a lei come lo sono adesso. Faccio segno di sì e annego negli occhi castani di lei che mi dedicano il meraviglioso sguardo che conosco così bene, quello di un’affamata che stia contemplando il buffet di un pranzo di gala. E no, non mi sento un oggetto in questi casi, ne sono felice.

“Andiamo, allora. Ho una gran voglia di stancarti”. Ne ho voglia anche io, tanto da alzarmi in piedi di scatto, a rischio di rovesciare tutto quello che è sul tavolino; recupero in gran fretta la mia parte di buste e senza neanche accorgermene mi trovo prima in un tassì, con la mano di lei sotto la gonna, a controllare quanto sono calda e pronta ed a tenermi in totale tensione per tutto il percorso, poi in ascensore, con la lingua di lei fino in fondo alla gola a sentire il mio sapore mischiato a quello del tè che ho bevuto, e infine inchiodata con la schiena sul pavimento della nostra piccola suite, la gonna arrotolata attorno alla vita, le mutandine impigliate ad una caviglia, più che aperta spalancata, impotente e felice di esserlo. Il mio mondo diventa più piccolo e contemporaneamente grandissimo, concentrato nel mio corpo ed in quello di lei contro il mio, e intanto fuori probabilmente diventa buio perché quando finalmente ritorno sulla terra, con lei che pesa su di me e non smette di baciarmi, stavolta gentilmente fino a che non riapro gli occhi, ho di nuovo fame.

“Ti aiuto, amore, se tu aiuti me”. Giusto, vorrei almeno salvare il tailleur e proviamo ad appenderlo con cura nell’armadio, la camicetta è ridotta ad uno straccio e finisce nell’apposita busta in vista dell’appuntamento con la nostra lavatrice, così come la biancheria; la felpa ed i calzoncini di lei hanno sopportato meglio l’esplosione di sesso, prima di piegarli dovranno prendere un po’ d’aria, quindi finiscono appesi accanto al mio tailleur, e insomma ci sarebbe da lavarsi e rivestirsi per andare a cena, adesso, ed io ne ho pochissima voglia. Già, perché ricordo altre serate cominciate così, a casa nostra, e proseguite con addosso soltanto il nostro reciproco odore, una telefonata alla pizzeria, una fetta di margherita mangiata facendo ancora l’amore, il vino bevuto dalle labbra e dalla fica di lei, cose che non facciamo più da quando c’è la cugina a casa e di cui provo nostalgia. Adesso mi accontenterei di accomodarmi ai piedi di lei e di mangiare disciplinatamente dalle sue mani, alternando un boccone di pane ad una carezza con le labbra alla sua carne rovente e profumata, ma non è possibile. Quindi doccia, e poi decidiamo cosa indossare.

“Inauguriamo qualcosa che abbiamo comprato oggi, amore, cosa ne dici?”, suggerisce lei in uno di quei momenti in cui non sono assolutamente in grado di dire di no: mi sta asciugando amorevolmente, più come una madre che come un’amante, e la carezza delle mani di lei attraverso l’asciugamano dell’albergo è rilassante più che eccitante; dopo l’acqua calda, il sapone ed il vapore che ha riempito la stanza da bagno mi sento languida e felicemente spossata.