Chiarezza

di cristinadellamore

Allora, inizio inverno un po’ così. Fa un po’ freddo al mattino e alla sera, e soprattutto non piove. L’aria è sporca, mi bruciano gli occhi ed anche lei ha qualche fastidio.

Lei fa una telefonata e fissa l’appuntamento dall’oculista, per fortuna a due passi da casa.

“Papà era sempre perplesso, però ci tornava perché era troppo comodo. Ci vediamo lì, è sempre disponibile e l’appuntamento è abbastanza comodo, dopo l’orario di lavoro. Ed è anche convenzionato con la nostra assicurazione, pagheremo meno di cento euro in due”.

Il resto lo paga l’assicurazione, naturalmente, e in effetti lo paga lei, almeno in parte, versando una quota del premio per lei e per me, e l’altra quota è a carico dello studio. Una volta ho timidamente suggerito di rimborsarle la mia parte e per due giorni non mi ha rivolto la parola e per due notti ha dormito sul divano: ci casco sempre, ha ragione, siamo una famiglia, accidenti.

Lo studio dell’oculista è davvero ad un passo da casa e me lo aspettavo più elegante: sarà anche per colpa della moquette marroncina e delle luci un po’ basse, però mi sembra un po’ triste e cupo. Siamo arrivate assieme con cinque minuti di anticipo: lei mi ha insegnato anche la puntualità.

Puntualissimi anche nello studio: una rossa in camice bianco e dalle gambe lunghissime messe in evidenza da jeans aderentissimi e scoloriti chiama prima lei, poi me, e ci fa un test che sembra un videogioco, lucine che si accendono, piccole e fioche, e bisogna premere un bottone quando le vedi. Prima con un occhio, poi con l’altro, ed io comincio addirittura a sudare.

Poi siamo ammesse alla presenza del professore, luci basse, musica classica in sottofondo, e, sorpresa, una ragazza in evidente stato di gravidanza che è la figlia. Ci siamo, il professore sta per mettersi in pensione e si è associata l’erede allo studio, complimenti.

Lei accetta un abbraccio quasi paterno e mi presenta, prima di spiegare il problema. Il professore annuisce, concorda e passa gocce che bruciano un po’ e che dilatano la pupilla, poi agli strumenti, strane macchine per l’analisi computerizzata, qualcosa che si appoggia sull’iride e serve a misurare la pressione del sangue. La cosa che mi fa un po’ ridere è che ogni esame viene ripetuto.

Mi spiego: il professore guarda, studia, verifica, prende appunti, poi si fa da parte e lascia il posto alla figlia che evidentemente deve fare pratica. Ma proprio su di noi?

E’ molto professionale, anche se gli scappa un commento sul colore dei miei occhi: rispondo che mi viene da una bisnonna di cui papà mi parlava sempre, e nella penombra resa ancora più opaca dalle luci che mi penetrano le pupille intuisco che lei prima sospira, poi sorride.

Insomma, il verdetto è che è davvero colpa dell’aria inquinata, anche se io ho un po’ di astigmatismo ma per il momento posso ancora fare a meno degli occhiali ed a lei sta iniziando la presbiopia, dovrebbe sforzare di meno gli occhi, se possibile non leggere troppo dal video ma stampare i documenti, ed in un carattere un po’ più grande.

Con gli occhi che ancora bruciano usciamo a riveder le stelle e lì, sul viale alberato, in mezzo alla folla postnatalizia, la abbraccio e la bacio, prima di dirle che amo la mia vecchietta. Lei ricambia e mi risponde: “Dovrai essere il bastone della mia vecchiaia”.